Prima della pandemia solo il 5% dei lavoratori in Europa usufruiva della modalità di lavoro a distanza. Nel 2020 il numero è più che raddoppiato attestandosi al 12%. Secondo recenti stime, però, solo il 31% dei lavori in Europa (e il 37% in USA) può essere eseguito da remoto.
Il lavoro a distanza dovrebbe diventare parte integrante del nuovo mondo del lavoro. Ma per molte aziende rimane ancora la domanda: come e in che misure dovrebbe essere introdotta la flessibilità?
Nella survey ‘Current trends in remote working’ KPMG ha intervistato top manager ed esperti di 530 società di molteplici settori, attive in 46 paesi diversi, per sondare scelte e riflessioni in merito al lavoro da remoto.
Verso un modello ibrido
Nel sondaggio del World Economic Forum del 2021, il 66% degli intervistati ha dichiarato di voler lavorare in modo flessibile una volta terminata la pandemia e il 30% valuterebbe la possibilità di cercare un altro lavoro se fosse tenuto a tornare in ufficio a tempo pieno. Il 64% degli intervistati ha anche affermato di essere più produttivo con una modalità di lavoro flessibile.
Il mercato si sta dunque muovendo verso un modello ibrido. Per individuare le tipologie di lavoro da remoto più opportune per il raggiungimento degli obiettivi aziendali è necessario uno stretto allineamento tra leadership, business e risorse umane. A trattenere molte organizzazioni dall’istituzione di policies ad hoc sono alcuni interrogativi relativi alla frequenza e flessibilità da adottare con i propri dipendenti. Oggetto di discussione sono anche le modalità più idonee a garantire il corretto funzionamento di infrastrutture, spazi e data protection e a rafforzare cultura aziendale, leadership, produttività e lavoro di squadra.
La diffusione delle policies sul lavoro da remoto
Quasi 9 organizzazioni su 10 (89%) hanno già introdotto delle policy sul lavoro da remoto (37%) o stanno considerando una loro implementazione (52%), a dimostrazione del fatto che il remote working rientra tra le strategie di lungo termine delle imprese.
Il primo settore ad adottare una policy di remote working è stato quello delle telecomunicazioni (64%), seguito dal settore alimentare e della distribuzione retail (60%) e, sorprendentemente, dal manifatturiero (45%).
Al netto delle restrizioni sulla mobilità imposta dai governi per far fronte alla pandemia (21%) nella maggior parte dei casi la scelta di ricorrere a modalità di remote working è più una risposta ad un’esigenza interna – richieste dei dipendenti (25%), affermazione del brand nella ricerca di talenti (18%), carenza di talenti (12%) – che a esigenze di business, come la flessibilità (13%) e la riduzione dei costi (6%).
Le diverse tipologie di Remote Working
La maggior parte delle aziende si concentra sul lavoro a distanza all’interno del proprio paese. Oltre i confini nazionali, si osserva il lavoro a distanza a breve termine per meno di 90 giorni più frequentemente.
Le principali tipologie di Remote Working:
- Remote working da casa
- Remote working all’estero a breve termine (<90 giorni)
- Virtual Assignements
- Assunzioni di talenti all’estero
- Remote working all’estero temporaneo (>90 giorni)
La comunicazione dell’esperienza nel lavoro a distanza
Questo nuovo modello di lavoro richiede da parte dell’azienda una comunicazione proattiva e coerente distribuita su più canali di informazione (webcast, corsi di formazione, FAQ, ecc.) unita ad aggiornamenti regolari sull'evoluzione delle decisioni aziendali circa i piani di rientro a lavoro (ufficio/remoto/ibrido). Le aziende dovrebbero anche chiedere un feedback regolare ai propri dipendenti per aumentare il senso di coinvolgimento nella pianificazione del proprio futuro. Il racconto delle loro esperienze ed esigenze può aiutare a promuovere la produttività e il lavoro di squadra, che a loro volta possono avere un impatto diretto e positivo sugli obiettivi aziendali generali.