La pandemia da COVID-19 ha ampliato il divario di uguaglianza, esasperando profonde e strutturali disuguaglianze e arretrando decenni di progresso sociale ed economico. I più vulnerabili della società hanno sofferto maggiormente, tanto che la Banca Mondiale ha nominato il 2021 come “La pandemia delle disuguaglianze”. Le disuguaglianze sociali hanno raggiunto il picco in 150 anni: gli otto individui più ricchi del mondo detengono la ricchezza dell’intera metà più povera del mondo, ovvero 3,6 miliardi di persone. Le nazioni più povere stanno soffrendo in maniera sproporzionata, poiché i loro governi non hanno le risorse per fornire ampie reti di sicurezza sociale.
E nonostante molti governi abbiano reagito rapidamente al COVID-19, la fiducia generale verso le istituzioni continua ad erodersi, portando in alcuni casi all’attivismo dei cittadini. Solo circa la metà delle persone nei paesi dell’OECD afferma di fidarsi del proprio governo nazionale. Un contesto economico in deterioramento, insieme a gravi eventi climatici, sta alimentando disordini politici e sociali, creando un circolo vizioso di crescente disuguaglianza e sgretolamento della coesione sociale.
Disuguaglianza come un problema per il business
Per le imprese, la disuguaglianza sistemica è una grande fonte di rischio perchè riduce la spesa dei consumatori e la crescita, destabilizza le catene di approvvigionamento, innesca instabilità politica e mette a repentaglio la stessa capacità di operare delle imprese. Allo stesso modo, affrontare l’iniquità è un’opportunità d’impresa.
Nella ricerca di un futuro pacifico e prospero, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite raccomandano la cooperazione tra governi, società civile e settore privato. Pertanto, il settore privato ha un ruolo vitale da svolgere nella lotta contro le disuguaglianze.
I leader aziendali riconoscono sempre più come la disuguaglianza sociale sistemica influisca negativamente sulla società, oltre a danneggiare la cultura e la produttività del business. La disuguaglianza mette a rischio le aziende nei confronti di fattori legali, morali ed economici:
1 – L’imperativo Giuridico
Più le aziende diventano grandi e potenti, più aumentano le aspettative ed i controlli rispetto agli standard ambientali, sociali e di governance (ESG). Stiamo assistendo a una crescente pressione a livello normativo per trattare le persone in modo equo, limitare le emissioni e l’inquinamento ed avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente.
2- L’imperativo Morale
Le crescenti richieste alle aziende da parte degli stakeholder di “fare la cosa giusta”, combinate con gli SDG delle Nazioni Unite, i principi ESG e altri framework valoriali, stanno portando le aziende a dare priorità alle pratiche etiche ed a rimanere responsabili di progressi misurabili. Concetti come “la tripla bottom line”, sociale, ambientale e finanziaria, e il “valore condiviso” suggeriscono che lo scopo sociale e il profitto possono essere raggiunti contemporaneamente, come ad esempio attraverso investimenti a impatto o creando B-corporation, con elevati e verificati standard in termini di performance sociale ed ambientale, trasparenza e accountability, ed imprese sociali che ottengono risultati per le persone oltre che al profitto.
3- L’imperativo Economico
Da una prospettiva globale, esiste una relazione simbiotica tra l’uguaglianza sociale e la crescita economica. Le conseguenze di un’ecosistema di disuguaglianze sociali e di instabilità imprenditoriale possono ridurre le capacità delle aziende di competere e crescere, limitare il potere di spesa dei mercati target e interrompere le fragili catene di approvvigionamento. Le aziende che investono nel miglioramento dell’equità sociale ed esaminano le loro operazioni per ridurre le disuguaglianze hanno un impatto differente per le persone nelle loro organizzazioni. Ma quando le aziende lavorano per gli stessi obiettivi in tandem esercitano un grande potere per apportare cambiamenti positivi fi lungo termine per molti stakeholder.
Inizia la trasformazione di un’organizzazione purpose-driven
Diventare un’organizzazione purpose-driven ha una serie di vantaggi. Tuttavia, un tale cambiamento richiede una fondamentale trasformazione, con le seguenti azioni che servono come punti di partenza:
- Riconoscere la disuguaglianza sociale come un’opportunità di azione più che un rischio d’impresa: la formazione ESG e il lavoro one-to-one possono aiutare i leader a riconoscere e comprendere la relazione tra l’organizzazione e la disuguaglianza sociale.
- Costruire una cultura inclusiva: occorre coinvolgere e ascoltare l’organizzazione. Allineare l’acquisizione, la formazione, lo sviluppo e la promozione dei talenti con i principi di inclusione ed uguaglianza. I dati possono migliorare la trasparenza misurando e monitorando il modo in cui le persone con background diverse (incluso genere, razza, orientamento sessuale, classe, cultura e abilità) vivono all’interno dell’azienda.
- Valutare l’impatto sociale e misurarlo: misurare l’impronta sociale dell’organizzazione, cioè l’impatto di prodotti e servizi e il benessere dei consumatori e passare poi a valutare il benessere dell’intera filiera. Spesso il primo tema che si apre riguarda quali dati sono disponibili e cosa è necessario raccogliere per fornire misurazioni solide sul lato sociale.
- Dare voce alla comunità e creare un patto sociale: questo può aiutare le aziende a co-progettare soluzioni e segnalare gli impatti all’interno della comunità. Con le giuste informazioni e strutture di governance, le aziende possono mettersi nella posizione di assumersi la responsabilità e rispondere ai bisogni della comunità.